Cento anni fa la morte di Giuseppe Di Vagno: oggi convegno all’Università di Bari
L’aula piena di studenti delle scuole superiori provenienti da tre licei baresi (Salvemini, Scacchi e Flacco) e, finalmente in presenza, decine di ragazzi che hanno partecipato ad uno degli eventi organizzati nell’ambito del calendario del Centenario della morte di Giuseppe Di Vagno.
Il convegno, che si è svolto nell’Aula Aldo Moro del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Bari, ha visto la partecipazione di Simona Colarizi, storica, docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, coordinatrice scientifica del Comitato nazionale del Centenario, di Giovanni Scirocco docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Bergamo, e di Carlo Spagnolo docente di Storia contemporanea all’Università degli Studi di Bari.
“1921-1922 Lotta per l’egemonia e costruzione di un nuovo blocco sociale” è il titolo della giornata che ha acceso i riflettori sull’importanza dello studio della storia come antidoto per l’odio e traduttore dei tempi di oggi, “perché – come ha detto il Rettore Stefano Bronzini – se non si fanno i conti con quel periodo storico non possiamo capire l’oggi. È necessario partecipare a qualsiasi iniziativa della storia per rimetterla al centro della nostra riflessione, soprattutto oggi in cui si confonde il Pnrr con il piano Marshall o con la Cassa del Mezzogiorno, cosa ancor più grave”.
Non è casuale lo svolgimento del convegno in UniBa perché la condivisione del Programma dei seminari destinati agli studenti dell’Università, immaginati assieme ai direttori dei rispettivi dipartimenti, rende il programma del Centenario un vero e proprio “progetto di ricerca” che coinvolgerà docenti e studenti nei prossimi mesi del 2022.
Tanti gli aspetti che ricordano pericolosamente quanto si è già vissuto, e a fare l’identikit del fascismo del 1919, è stata la storica Simona Colarizi, coordinatrice scientifica del Comitato nazionale del Centenario: “Croce ha definito il fascismo ‘una malattia morale’, circoscrivendo alla Grande Guerra il focolaio dell’infezione che come una pandemia era dilagato in tutta Europa. Per molti aspetti questa interpretazione di ‘malattia morale’ ha un fondamento, se ci si limita all’accelerazione e all’esasperazione che il conflitto produce su tutti quei fenomeni sociali, politici, culturali e persino economici già in atto negli anni precedenti, primo tra questi la violenza politica. È questo il marchio di origine dei fascismi, usato lucidamente per conquistare il potere e per conservarlo. Il fascismo nel 1919 parlava di razzismo, xenofobia, imperialismo, nazionalismo, bellicismo inteso come violenza di guerra”.
“Se è vero che occorre ‘conoscere per deliberare’, per restare tra il vecchio Einaudi e il più contemporaneo Marco Pannella – ha affermato Gianvito Mastroleo, presidente della Fondazione Di Vagno – non è meno vero che è necessario ‘conoscere per riconoscere’. In primo luogo per sapere riconoscere e isolare gli elementi che con i conati di antipolitica rischiano di ridurre al collasso quei sistemi politici tentati ad abbracciare quel populismo che si nutre dei corpi intermedi e delle forze sociali organizzate e che induce a pensare che il fascismo non sia mai finito non solo in Italia, ma anche in altre parti del mondo dove è riuscito a prosperare finanche dopo la fine della Seconda guerra mondiale e la cui ricetta, nei giorni nostri, è un mix di demagogia e di nazionalismo xenofobo. Mentre il neo-fascismo che cova in alcune forze politiche (addirittura partecipi del governo) è reinterpretato da chi pretende di chiudere i porti o preferisce buttare a mare i migranti, se non negare verità scientifiche del tutto inoppugnabili, o da chi, alle porte d’Oriente della nostra Europa, costringe al freddo e alla fame una massa di disperati”.
La nascita del fascismo è stata al centro dell’intervento del prof. Giovanni Scirocco, docente di Storia contemporanea all’Università degli studi di Bergamo: “Milano è stata, com’è noto, la ‘culla’ del fascismo, non solo perché qui vi era la sede del Popolo d’Italia (via Paolo da Cannobio) e la principale sezione degli Arditi (via Cerva), ma soprattutto perché è in questa città che si verificarono i primi episodi di squadrismo, prima verbale (la contestazione di Bissolati alla Scala, 11 gennaio 1919) poi materiale (l’assalto alla sede dell’Avanti!, 15 aprile 1919). Poco più di due anni dopo, nell’agosto 1922, con l’estromissione forzata del sindaco socialista Filippetti da Palazzo Marino e il nuovo assalto all’Avanti!, si compie, per certi versi, il ciclo di violenze che precede la Marcia su Roma”.
Conoscere la storia e capirla dal punto di vista politico, consente di sviluppare anticorpi della democrazia. “Il fascismo da subito si propone come movimento antipolitico – ha detto Carlo Spagnolo, docente di Storia contemporanea all’Università di Bari –. Per questo i linguaggi che oggi vediamo di nuovo evocare sono inquietanti e quindi quando si sente parlare di antipolitica come fosse una cosa positiva, noi storici ci preoccupiamo. Dobbiamo capire che il fascismo non può essere ridotto a frutto dell’arretratezza. Dal 1919 al 1921 è successo tutto”.
Convegni, mostre e presentazioni di libri, si susseguiranno nei prossimi mesi per raccontare il primo martire socialista della storia d’Italia, con iniziative che sino a maggio 2022 attraverseranno tutto il Paese, da Bari, Mola di Bari e Molfetta, a Roma e Milano.